top of page

Tensione e rappresentanza politica. Quando la rappresentanza tace, parlano le bombe.

lug 16

8 minuti di lettura

1

62

0


L'esempio storico delle mancate riforme della Democrazia Cristiana nella IV Legislatura che portarono all'esplosione della Tensione degli anni '70. Potenziali pericoli nel contesto contemporaneo.



Manifestanti del Movimento Autonomo durante le proteste degli anni ’70, simbolo della radicalizzazione di una parte della sinistra extraparlamentare. Parte delle lotte sociali e studentesche che scossero l’Italia negli anni di piombo. Fonte: Wikipedia.
Manifestanti del Movimento Autonomo durante le proteste degli anni ’70, simbolo della radicalizzazione di una parte della sinistra extraparlamentare. Parte delle lotte sociali e studentesche che scossero l’Italia negli anni di piombo. Fonte: Wikipedia.

La società italiana ha già fatto esperienza delle conseguenze funeste di una effettiva mancanza di rappresentanza istituzionale. Molto tempo fa. E la portata fu tale che l’impronta rimasta incisa nel corpo intimo della nazione, risultato del transito degli eventi scaturiti al manifestarsi del problema, fa ancora sentire i suoi echi tutt’oggi. Purtroppo la retorica contemporanea propone uno stato di placida accettazione di una questione imponente  quale è la crisi di rappresentatività dei regimi democratici odierni e la ridimensiona a mansueto effetto collaterale della modernità. Piuttosto, sarebbe utile indagare sulle risposte che la Storia ci ha già fornito e trarne insegnamento, onde evitare che gli errori si ripetano. Nel tessuto vivo della collettività sono condensate possenti forze che, se estromesse dal loro delicato stato di equilibrio, possono deflagrare. Il compito della politica è, tra i vari, quello di tenere conto di queste forze per canalizzarle in sentieri sicuri. Fornendo loro gli sfoghi di cui esse necessitano e al contempo acquartierarle nel sicuro recinto delle istituzioni. Potremmo osar dire che la politica è un ingegnoso sistema di condotte e camere di compensazione creato ad evitare che tensioni vivaci sfoghino in punti di rottura irrecuperabili. Tali tensioni vanno canalizzate, controllate e fatte fluire efficacemente per evitare che si accumulino. Ma per far questo bisogna far si che le masse umane in cui queste forze poderose si annidano abbiano la possibilità di dar voce alle proprie istanze. La società ha i suoi bisogni, ma cosa accade se parte di questi bisogni non vengono soddisfatti, magari nel lungo termine, da un oggettivo match con l’operare politico? La società ha dato la sua risposta al mancato match di rappresentanza in un periodo storico in cui esisteva quella che, a detta di molti, è stata una delle più lungimiranti classi politiche italiane del XX secolo.  Grande è stata la portata degli eventi che ne sono scaturiti. E forte il turbamento. Ma andiamo con ordine.

 

Il periodo storico di cui parliamo è quello in cui la classe dirigente italiana si sensibilizzava alle prime possibilità di apertura a sinistra in un quadro sociale in cui, dopo il centrismo degasperiano, non si poteva più ignorare il peso dei partiti localizzati a sinistra dello spettro politico.

In progressione, a cavallo della III e IV legislatura, i cavalli di razza della Democrazia Cristiana Amintore Fanfani prima, e Aldo Moro poi, condussero la classe politica di allora ad accettare la presenza del Partito Socialista Italiano nella compagine di governo. Ciò avrebbe comportato l’attuazione di riforme che erano proprie della visione ideologica del partito di Nenni e di cui la società necessitava. La dirigenza democristiana era perfettamente consapevole di questo, ma d’altro canto tale linea di condotta avrebbe generato resistenze in quei settori della società conservatori ostili al riformismo e da cui la DC traeva il proprio consenso. Questa indagine concluderà con l’evidenziare che il fallimento di tali riforme progressiste nel periodo della IV legislatura è il motivo dello scoppio della tensione in Italia dopo l’autunno caldo del 1969. Ma dove entra in gioco la (mancata) rappresentanza sociale?

 

La società italiana, come già limpidamente evidenziato nel 1961 durante il convegno democristiano di San Pellegrino (1) , era in fase di profonda trasformazione a causa del processo di industrializzazione in corso. Se potessimo partizionare la società italiana della metà degli anni sessanta allo scopo di analizzarne la natura, scopriremmo che nella galassia di ceti esistenti i principali maggiormente rappresentativi erano il segmento prettamente agricolo (specialmente nel Meridione) ed un altro di natura moderata (professioni imprenditoriali), l’insieme dei quali avrebbe formato la base del consenso di massa della Democrazia Cristiana dopo la fine del secondo conflitto mondiale. (2) Ma un nuovo tipo di classe sociale prodotta dallo sviluppo industriale era in procinto di turbare il già delicato equilibrio esistente. Questa massa di persone nuove, che sperimentò sulla propria pelle il cambio di paradigma in corso, era caratterizzata principalmente da coloro che abbandonavano la vita scandita dai ritmi dell’agricoltura per abbracciare il serrato vivere dell’industria. Una massa poderosa che metteva il luce la potenza del processo di trasformazione che la tecnologia sotto la propulsione del capitalismo produceva nella società. Un sistema democratico si assume necessariamente l’onere di rappresentare in sede istituzionale tutte le partizioni presenti nella popolazione, ed un nuovo soggetto sociale che emerge deve trovare il corrispettivo politico che ne raccolga il consenso.  I vertici democristiani ne constatarono le veridicità, giacché sarebbe stato impossibile governare il paese, già turbato dalle forti pressioni sindacali del boom economico e dai rimasugli delle fratture ideologiche postbelliche. Per non parlare della plausibilità che tali nuove masse, che operavano nell’industria, potessero alla fine legittimare gli acerrimi nemici marxisti-leninisti. Ciò avrebbe reso l’egemonia democristiana sempre più precaria, specialmente in una fase dove il PCI non sembrava arretrare.

Solamente l’implementazione di un partito di massa come il PSI, con possente base operaia e necessaria cultura ideologica, ancora formalmente escluso dalla compagine governativa, avrebbe potuto assicurare quella spinta rinnovatrice adeguata a produrre le necessarie riforme.(3) I vertici democristiani erano consapevoli che senza questa condizione non sarebbe stato possibile mantenere il consenso delle masse e quindi l’egemonia del partito cattolico nel sistema politico italiano.

Le riforme di un PSI all’interno di un centrosinistra organico avrebbero significato per l’ala di sinistra dei socialisti l’attuazione di un processo che avrebbe necessariamente modificato i rapporti di produzione capitalistici a sfavore della borghesia.

Questa visione fu osteggiata dal segmento conservatore della società che premeva fortemente sulla Democrazia Cristiana. Impensabile permettersi di inizializzare un processo che sarebbe stato foriero di minare proprio le basi del potere di cui essa era il legittimo rappresentante.

Dunque la necessità di riforme per mantenere il consenso e l’egemonia politica da un lato, ma l’impossibilità di attuarle completamente dall’altro. Pena, in entrambi i casi, la perdita dell’esercizio del potere.

 

E’ proprio in questa logica che sta il punto della situazione: la trasformazione del partito democristiano da istituzione atta a rendere il più limpido servizio alla nazione senza secondi fini, di cui il centrismo degasperiano e le valutazioni di Dossetti ne furono l’esempio, a partito interessato solo al mantenimento del potere. Da qui nascerebbe la moderazione di Aldo Moro: dalla necessità di ottenere il consenso delle masse ma ritardando il più possibile il programma dal quale quel consenso traeva origine .

Dare l’impressione generale di attuare un programma riformatore, di cui la società necessitava, in maniera tale da mantenere alta la base consensuale, ma evitare di attuarlo in toto per evitare  di spaventare la base conservatrice.(4) Un interessante paradosso, annunciatore di quell’immobilismo tipico dei governi dell’intera IV legislatura. Un capolavoro politico forse, perché le elezioni nazionali del 1968 mostrarono proprio che la strategia attendeista e moderata del primo ministro pugliese era vincente.

Risultato: mantenimento delle posizioni della DC, una notevole flessione dei partiti di destra che storicamente erodevano il consenso democristiano (5), e un depotenziamento del Partito Socialista unito al Partito Socialdemocratico Italiano.

Il partito egemone non perdeva pezzi anzi, l’elettorato lo premiava. Il centrosinistra organico funzionava e il pericolo di perdere consenso fu scampato.

Ma se certamente la strategia moderata da un punto di vista politico aveva funzionato, questo non era vero per quello che riguarda la società: quelle riforme indispensabili non erano state completamente attuate.

Lo scoppio delle tensioni del 1969 fu il campanello d’allarme: una società ancora insoddisfatta e turbolenta avrebbe fatto enormi pressioni sulle istituzioni e solo l’attuazione della strategia della tensione avrebbe evitato un completo slittamento a sinistra della composizione politica italiana.

Se quelle riforme non fossero state depotenziate, forse la società avrebbe manifestato minori sintomi di malessere. Una società meglio rappresentata dalle istituzioni avrebbe fornito migliori segnali di pacificazione anche sulla scia dei turbolenti eventi storici internazionali dei primi anni settanta. Migliore stabilità che non avrebbe indotto forze terze ad attuare la strategia delle bombe per riportare gli estremismi nei ranghi di una democrazia approntata ad appartenere al polo atlantico in seno alla dialettica della Guerra Fredda.

Alla luce di questi fatti è convincente concludere che quando le istituzioni mancano di rappresentare correttamente i vari segmenti della collettività scaturiscono delle forze centrifughe piuttosto pericolose che esacerbano le già esistenti fratture insite nel tessuto vivo della società.

 

Guardiamo ad oggi. Le elezioni politiche italiane del 2022 hanno registrato la più bassa affluenza dell’epoca repubblicana. Trend che procede catastroficamente senza tregua in questa  direzione sin dall’inizio degli anni ‘90. (6)

E’ chiaro, la mediatizzazione della politica (7) (e della società..) ha un ruolo in tutto questo, ma solo un ingenuo potrebbe credere che, al giorno d’oggi ed al netto dei riconosciuti effetti della TV e dei media sul comportamento umano, ogni partizione del tessuto sociale si senta adeguatamente rappresentata dalle istituzioni democratiche nazionali. Per non parlare di quelle europee.

Probabilmente non si peccherebbe di malizia a tacciare di un leggero ottimismo coloro che relegano il ruolo dello strumento mediatico come fattore preponderante a spiegare l’attuale stato di inattivazione del cittadino in sede di affluenza alle urne.

Se è vero che una parte della verità per spiegare il fenomeno dell’astensionismo risiede nell’effettiva mancata rappresentanza delle istituzioni di quasi il 40% dell’elettorato, allora, questo potrebbe essere davvero un gran pasticcio. In primis perché non è un qualcosa dell’altro ieri, ma un progresso che procede da più di tre decadi. In secundis perchè la storia ci informa che in certe condizioni la mancanza di rappresentanza perpetuata nel tempo potrebbe far nascere talune tensioni corroborate dalla deflagrazione di bombe che, presumibilmente, non sono benefiche per il benessere dell’elettore medio.

Scherzi a parte, bisognerebbe prendere a campione l’episodio del fallimento riformatore della IV repubblica ed impiegarlo come metro di giudizio per valutare il presente. La società era in fermento nel 1969 perchè non si sentiva adeguatamente rappresentata, sintetizzo brutalmente, dalle istituzioni. Nonostante tutto, il 90% degli aventi diritto al voto andava alle urne e del boom economico ancora si sentivano forti echi. Ma le bombe scoppiarono lo stesso e le stragi, figlie di quel mancato riformismo, continuarono a far parte della quotidiana esperienza di vita.

Non ci vuole un genio per capire che il periodo storico in cui viviamo segnato dalla crisi economica permanente, dalla tensione geopolitica crescente e dall’immigrazione incontrollata, solo per citare i fondamentali, non è esattamente l’epoca del boom e del benessere postbellico. E una perpetuazione del disinteresse delle istituzioni a dare voce in sede rappresentativa di quei segmenti della popolazione lasciati a se stessi e che, dati alla mano, continuano ad ingigantirsi di anno in anno, potrebbe condurre ad un ritorno della storia in contesto probabilmente più pericoloso di quanto lo fosse la società italiana dell’epoca della contestazione e degli anni di piombo. Perché un conto è il verificarsi di un problema in in un contesto dove il benessere diffuso e la politica è efficace, un’altra cosa è uno stato di tensione che deflagra quando il sistema è già in crisi.  Ma si sa, la storia non ha scolari.



Fonti

 1 - G.Galli (2022), Storia della DC, La scuola di Pitagora, Napoli, p. 202-204.

 2 - P. Ignazi (2018), I partiti in Italia dal 1945 al 2018, Il Mulino, Bologna, p.67

 3 - Il PSI lentamente attraversò un periodo di rivisitazione ideologica che auspicava ad un rigetto sempre più marcato del marxismo- leninismo in favore di un massimalismo più graduale. Data questa premessa, e l’impossibilità del ceto dirigente italiano di inserire il PCI nella compagine di governo in virtù della conventio ad excludendum, il partito di Nenni poteva iniziare un processo di inserimento nei governi anche a scopo di arginare la pressione comunista. La formidabile base operaia prettamente localizzata  nel triangolo industriale di cui esso era principale rappresentante, lo faceva il candidato migliore da impiegare per canalizzare il consenso delle nuove classi operaie emergenti verso la compagine di governo dominata dalla DC invece di lasciarlo in pasto al Partito Comunista.

4 - G.Galli (2022), Storia della DC, La scuola di Pitagora, Napoli, p. 240.

5 - Quando il risentimento conservatore si faceva sentire la destra erodeva ampie basi di consenso al partito democristiano.Basti pensare alla proverbiale legge Truffa voluta da de Gasperi proprio allo scopo di arginare la montata delle destre dopo i primi piccoli tentativi di riforma del centrismo, in primis la riforma agraria.

 6 -  https://pagellapolitica.it/articoli/storia-affluenza-elezioni-italia

 7 - -Cepernich C. (2007), Le campagne elettorali al tempo della networked politics, Edizioni Laterza

 




lug 16

8 minuti di lettura

1

62

0

Post correlati

Commenti

Condividi i tuoi pensieriScrivi il primo commento.
bottom of page